C’erano bambine e bambini tra i profughi bosniaci “alloggiati” negli alberghi davanti al mare; correvano lungo i corridoi, giocavano a pallone. Ma davanti alla macchina fotografica il tempo si fermava: tutti in posa per il ritratto, con la mano lungo il fianco e i capelli arricciati. Spesso si apriva un sorriso; ecco Kata, con gli occhi chiari e il grembiule. Pochissimo tempo, forse un’altra fotografia là vicino, e il suo sguardo si perde in un pensiero profondo.